Doppio cognome ai figli: vera affermazione della parità di genere o garanzia della libertà di scelta?
Ha fatto scalpore il comunicato stampa, pubblicato il 27 aprile scorso sul sito web della Corte Costituzionale, con il quale la Consulta ha reso noto di aver dichiarato l’incostituzionalità, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 117 c. 1 della Costituzione, delle norme che attribuiscono automaticamente il cognome del padre ai figli, in quanto discriminatorie e lesive dell’identità personale dei figli (sia nati nel matrimonio o da coppie di fatto oppure adottati).
Non è una questione recente: con sentenza n. 286/2016 la Corte Costituzionale aveva riconosciuto la possibilità di aggiungere il cognome materno a quello paterno, mentre con ordinanza n. 18/2021 era stata sollevata, dalla stessa Corte, la questione di legittimità dell’art. 262 Cod. Civ., nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo, impone alla nascita il solo cognome del padre.
La regola, formalizzata nella pronuncia del 27 aprile 2022 e che verrà cristallizzata dalla sentenza della Corte Costituzionale di prossima pubblicazione, sarà che “il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cogno- me di uno dei due”.
Ma qual è la reale portata di tale innovazione e che cosa effettivamente si propone di tutelare?
Molti vi hanno visto un definitivo tramonto della società patriarcale ed una spinta in avanti della parità tra uomo e donna, altri un vero colpo al concetto di famiglia tradizionale. Altri ancora, pur non negando l’importanza della novità che, di fatto, allinea l’ordinamento italiano ai sistemi legislativi dei paesi europei, dove, seppure con differenti modalità, il cognome materno è già normalmente attribuito ai nascituri hanno posto l’accento sul rischio di inasprimento dei conflitti tra le coppie già in crisi, potendo la scelta del cognome concretizzare un ulteriore motivo di litigio.
Tutti questi aspetti (e molti altri che, in questi giorni, vengono esaminati da esperti dei vari settori), possono considerarsi meritevoli di approfondimento, ma in realtà non colgono il punto dell’innovazione.
Non è, infatti, la parità tra uomo e donna l’obbiettivo dell’intervento, né la sconfitta dello strapotere del padre in favore di un presunto rinnovato potere femminile: ciò che esce vincitore dalle stanze della Consulta è il principio della libertà di scelta dei genitori, che, volendo, possono decidere di attribuire al figlio un solo cognome, lasciando di fatto immutata la situazione.
Tale libertà, solo in caso di disaccordo tra i genitori, è limitata dall’intervento del Giudice, che dovrà decidere, secondo quanto statuito con il comunicato del 27 aprile, “in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico”.
Per rispondere poi al secondo quesito, l’intento dei Giudici Costituzionali è quello di tutelare l’identità personale dei figli, diritto costituzionale riconosciuto e tutelato dal nostro ordinamento e dalle leggi comunitarie di cui il cognome è elemento fondamentale.
Al Parlamento (dinanzi al quale sono stati presentati cinque disegni di legge sul tema) spetterà adeguare le norme dichiarate incostituzionali al nuovo dettato, stabilendo, in particolare, le forme ed i tempi di manifestazione ed acquisizione del consenso – o della volontà contraria – dei genitori, onde evitare conflitti ed incertezze, nonché elaborare norme che impediscano complicazioni pratiche anche a livello amministrativo, per evitare, ad esempio, la moltiplicazione dei cognomi nelle future generazioni.
Riusciremo ad abituarci ad avere all’interno dello stesso nucleo familiare persone con cognomi diversi?
Ad majora!
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